Preso atto ormai che il conseguimento della General Intelligence rimane sostanzialmente una chimera, quantomeno con gli attuali approcci induttivi che caratterizzano l'Artificial Intelligence, alcuni commentatori si stanno esercitando in una sorta di inversione della logica e del buon senso, nel tentativo (piuttosto risibile, in verità) di salvare quel che resta del mito fondativo dell'intelligenza artificiale basato sulla pretesa "inevitabilità" della singolarità, tanto cara a personaggi quali Kurzweil.

Il tentativo è sostanzialmente quello di sostenere che neanche gli esseri umani sono dotati della fantomatica "intelligenza generale", quindi perchè dovremmo pretenderla dalle macchine?

In questa difesa d'ufficio e giustificazione speciosa dell'incapacità delle macchine di andare oltre i compiti specifici per i quali sono state progettate e programmate, appare finalmente chiaro quale è il reale obiettivo di questi tecno-sciovinisti, vale a dire quello di sminuire le reali capacità umane e di svalutare il concetto stesso di persona, in linea del resto con la deriva scientista neopositivista che caratterizza l'ideologia tecnocratica ormai imperante nella nostra epoca.

Purtroppo per loro (e per fortuna per noi che crediamo ancora nel genere umano) i fatti hanno la testa dura, e alla fine la verità verrà a galla sconfessando la "cattiva coscienza" e l'ipocrisia che si nasconde dietro tale ideologia.

Il problema sarà come evitare che possa fare danni irreparabili prima che ciò avvenga.

Ma andiamo per ordine, e vediamo come svelare i tanti non detti che si nascondono dietro la supposta superiorità delle macchine.

Occorre preliminarmente fare chiarezza sui termini della questione, per evitare quanto più possibile l'insorgenza di ambiguità pretestuose...

Nessuna intelligenza? Tutte intelligenze!

L'inversione della logica e del buon senso adottata dai sostenitori della "superiorità" delle macchine ricorda molto lo strategemma postmoderno volto a svilire il concetto e la realtà della verità stessa: poichè non abbiamo un concetto universalmente accettato di "Verità", secondo la concezione postmoderna dobbiamo concluderne che non esiste un'unica verità, ma tante verità (sostanzialmente almeno tante quante sono le persone che sostengono la propria versione della verità...)

Allo stesso modo, poichè non abbiamo una definizione generalmente condivisa di ciò che debba intendersi per "intelligenza" (meno che mai di intelligenza "generale"), dobbiamo concluderne che l'intelligenza non sia appannaggio esclusivo del genere umano, e che pertanto anche le macchine possono essere legittimamente definite "intelligenti".

E il giochino dell'inversione della logica (spacciato come "rivoluzione copernicana" dell'AI, sulla falsariga delle precedenti rivoluzioni introdotte ad es. dalla teoria darwiniana dell'evoluzione) funziona altrettanto bene con i concetti di "mente" e di "coscienza", di cui ad oggi non disponiamo di una teoria unificata.

Il fatto di non disporre di una teoria e di un modello funzionante dell'intelligenza umana (così come della mente e della coscienza) porge il fianco all'utilizzo pretestuoso di tali termini antropomorfi al di fuori del contesto specificamente umano, per il quale sono stati originariamente coniati.

Questo consente il proliferare della confusione terminologica che alimenta il mito dell'intelligenza artificiale e della sua "inevitabilità" (per i sostenitori di tutte le narrazioni escatologiche che periodicamente si sono alternate nel corso della storia è sempre e solo questione di tempo...)

Intelligenza, un concetto "umano, troppo umano"

Cosa deve intendersi quindi per "intelligenza", nella sua accezione più appropriata?

La caratteristica che più di tutte distingue gli esseri umani è la capacità di immaginare scenari controfattuali, sulla base dei diversi contesti di riferimento in cui sono chiamati ad agire, valutando le conseguenze delle proprie decisioni in relazione alle diverse opportunità disponibili.

In altri termini, quella che comunemente si definisce intelligenza "generale" si sostanzia nella capacità di valutare criticamente le diverse situazioni in base al contesto, approntando le adeguate soluzioni.

Che le macchine siano in grado di svolgere i compiti specifici per i quali sono state progettate (dagli esseri umani) costituisce la dimostrazione delle capacità umane di adattarsi ai diversi contesti, fino al punto di progettare delle "protesi" (le macchine, appunto) che consentano loro di superare i propri limiti costitutivi.

Questa capacità implica la possibilità di ragionare per ipotesi e congetture, formulando teorie sul funzionamento del mondo circostante, inferendo le possibili soluzioni, consentendo così di affrontare in via "generale" qualsiasi problema (almeno in linea di principio).

Ad oggi tutto questo manca alle macchine, la cui "intelligenza" è comparabile a quella degli "idiot savants", che magari sono in grado di effettuare calcoli astronomici in tempi risibili, ma che vanno in crisi quando si tratta di seguire le più comuni regole di "buon senso"...

Il buon senso che manca alle macchine

E del resto non potrebbe essere altrimenti: gli algoritmi implementati negli attuali modelli di intelligenza artificiale risentono dei limiti dell'approccio data driven che li ispira.

Tali modelli seguono infatti la logica del ragionamento induttivo, per cui tutto ciò che non è presente nei dati è sostanzialmente inesistente...

L'idea che al crescere della mole dei dati disponibili tali algoritmi possano superare "magicamente" i propri limiti, compiendo il salto logico necessario per manifestare un comportamento autenticamente "intelligente", presuppone erroneamente la possibilità di passare in maniera automatica dal ragionamento induttivo a quello ipotetico e congetturale, anche noto come ragionamento "abduttivo" (reso celebre da Peirce) e che è alla base delle capacità di formulare teorie e scenari controfattuali.

Il problema vero che si trova ad affrontare (senza successo finora) la cosiddetta "intelligenza" artificiale è costituito dal fatto che ad oggi nessuno sa come implementare in forma computazionale il ragionamento abduttivo: continuare a credere che basti semplicemente aggiungere dati ad algoritmi che per loro natura non sono idonei a compiere tale "salto" logico, ricorda molto la famosa barzelletta di quel tale (i maligni sostengono si trattasse di un economista) che aveva perso di notte le chiavi e le cercava sotto il lampione, non perchè fosse sicuro di averle perse proprio lì, ma perchè sotto il lampione c'era più luce per vederci meglio...

Riuscire a dotare le macchine di qualche forma di "senso comune" implica la capacità di implementare il ragionamento abduttivo e costituisce la vera rivoluzione copernicana che ancora manca all'appello dell'AI...