Davvero la Artificial Intelligence sostituirà la maggior parte delle mansioni attualmente ricoperte dalle professioni intellettuali (quali avvocati, commercialisti e persino medici) e di conseguenza è necessario che i professionisti imparino ad utilizzarla a proprio vantaggio, per non rischiare di essere estromessi dal mercato?

Cerchiamo di fare il punto della situazione, facendo “la tara” alla stragrande maggioranza dei luoghi comuni che impervesano sull’argomento.

In principio era il radiologo…

L’attacco alle professioni da parte dalla Artificial Intelligence (rectius: dei produttori di soluzioni informatiche basate sulla AI) non è cosa nuova, così come non lo sono i proclami altisonanti (puntualmente smentiti dai fatti) dei vari guru e “padrini” tecnologici.

Famosa è la predizione (sbagliata) di G. Hinton che nel 2015 aveva predetto la “scomparsa” (professionale, s’intende) dei radiologici nel giro di 5 anni al massimo, sostituiti dai modelli predittivi che lo stesso Hinton ha in parte contribuito a sviluppare.

A distanza di 10 anni dalla predizione formulata da uno tra i più noti “padrini” della AI, di recente insignito persino del premio Nobel per la Fisica, non solo i radiologi non sono scomparsi, ma rappresentano anche “merce rara” difficile da reperire sul mercato.

Un magazzino che contiene tante casse…

Del resto, le suggestioni di poter “immagazzinare” la expertise e le competenze professionali (in primis quelle relative al settore sanitario) in sistemi digitali “intelligenti” è da sempre una caratteristica connaturata con la stessa intelligenza artificiale.

All’epoca della GOFAI (Good Old Fashioned AI), in cui l’approccio verso l’AI era diametralmente opposto a quello attuale basato sulle reti neurali artificiali, l’idea di fondo era che la conoscenza fosse riducibile a un insieme chiuso di proposizioni logiche manipolabili alla stregua di simboli, come tali archiviabili e gestibili all’interno di un elaboratore basato sulle regole della logica binaria.