Le mosche e le zanzare, così come le Fake News, sono senza dubbio fastidiose, ma nessuno di noi si sognerebbe mai di sparare contro di loro con un cannone, rischiando così di far crollare l’edificio che ci ospita e che ci sostiene (edificio che, nel caso delle fake news, si traduce nel presidio democratico del rispetto delle opinioni dissenzienti, con la tecnologia a recitare il ruolo del metaforico cannone).
La Verità, vi prego, sulle Fake News
Se c’è una verità ormai chiara a tutti, è che nè i talk-show, nè tantomeno i social media, costituiscono l’ambiente ideale per incentivare il confronto costruttivo e l’approfondimento degli argomenti, ma al contrario essi rappresentano l’agone mediatico in cui la polarizzazione antagonista delle fazioni in gioco dà miglior sfoggio di sé, e dove regna sovrana la concezione manichea della verità, quella che impone ai contendenti di scegliere di stare “o di qua o di là”.
Verità manichea e polarizzazione delle opinioni
La concezione manichea della verità ben si addice alla polarizzazione delle opinioni, cifra specifica dei moderni media, in quanto presuppone che si possa stabilire da quale parte stia la verità dei fatti, nell’intento (più o meno meritorio) di contrastare la diffusione delle notizie false.
Al punto dall’essere tentati di ridurre i presidi democratici a tutela del dissenso, pur di instaurare una insana e velleitaria “lotta alla disinformazione”, ventilando l’ipotesi di introdurre discutibili “patenti di attendibilità” ai mezzi di informazione (come sembrerebbe alludere anche il nostro premier, nella sua reticente e improvvida esternazione in merito alla recente intervista a Lavrov e alla “scarsa professionalità” giornalistica, che ispirerebbe in lui “strane idee”…) addirittura coinvolgendo il Copasir nella ricerca di fantomatiche spie russe in una caccia alle streghe neo-maccartista dal gusto quanto meno retrò…
Gli intellettuali organici divisi tra paternalismo e ideologia
Vecchio vizio della politica quello di pretendere di filtrare la verità per conto dei cittadini, seguendo un approccio “nudge” (la “spintarella” tutt’altro che gentile), a metà tra il paternalismo opportunista e l’ossequio al precetto gramsciano del conseguimento dell’egemonia culturale, prodromico a quello dell’egemonia politica.
Nelle famose parole di Gramsci, il compito precipuo degli intellettuali “organici” è appunto quello di “educare” le masse.
Il precetto gramsciano sembra riecheggiare nelle parole dell’On. Luigi Marattin, quando sostiene che:
È il contesto, bellezza!
Peraltro, occorre sottolineare che è il contesto semantico di riferimento a stabilire la verità di una affermazione, non certo l’azione (spesso tutt’altro che disinteressata) dei vari “debunkers”, moderni sceriffi del web autoproclamatisi salvatori della patria.
Quindi, la verità non è nè manichea (come farebbe comodo ai propagandisti di ogni specie e risma), nè tantomeno “relativa”, come vorrebbero gli epigoni del Nietzsche di “Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni” (affermazione contenuta nei frammenti postumi, successivamente sviluppata in “Su verità e menzogna in senso extramorale” e in “Umano, troppo umano”) da cui deriverebbe lo slogan post-modernista “Nessuna Verità, tutte verità”, assurto ad emblema dell’epistemologia relativista.
Galileo Galilei odierno “terrapiattista” eliocentrico
Preferiamo pertanto adottare una accezione epistemologica “contestualista” (cfr. “The Case for Contextualism. Knowledge, Skepticism, and Context” di Keith DeRose) della verità, più adeguata a decifrare la complessità della realtà che ci circonda.
Secondo il contestualismo, gli standard epistemici che un soggetto deve soddisfare affinché una proposizione di cui si asserisce la conoscenza sia reputata “vera”, variano a seconda dei contesti in cui tali proposizioni sono pronunciate
Per strano che possa sembrare, considerare “piatta” la terra può avere un senso (quantomeno in termini pratici) se limitato al contesto ristretto delle distanze ordinarie che sperimentiamo nella vita di tutti i giorni, senza per questo essere additati pretestuosamente come “terrapiattisti”.
Tanto è vero che i geometri contemporanei fanno uso della geometria euclidea allo stesso modo dei loro omologhi ellenistici, i quali non avevano necessità di tener conto della naturale curvatura del pianeta, nè tantomeno di disturbare la geometria iperbolica di Bolyai-Lobachevskij (che sarebbe stata inventata soltanto 2 millenni dopo…) per assolvere ai propri compiti ordinari.
Così come, al contrario, il modello copernicano, che costò a Galileo l’abiura da parte della Chiesa, è da considerarsi “falso”, se adottato nel contesto della odierna teoria della relatività einsteniana, secondo la quale i corpi celesti seguono le traiettorie di un moto relativo tra di loro, non potendosi quindi a rigori stabilire un “centro” di gravità univoco dell’universo, centro che invece Copernico nel suo sistema attribuiva al Sole.
Sfumature, si potrebbe dire, se non fosse che sono proprio le sfumature ad attribuire alle affermazioni il proprio contenuto semantico, sulla base del quale stabilire la loro “verità”.
Sfumature alle quali sembrano essere insensibili non soltanto i talk show e i social media, ma anche e soprattutto quegli algoritmi sulla cui pretesa “oggettività” si basano i tentativi maldestri di loro introduzione, al fine di verificare la verità fattuale dei contenuti in odore di “disinformazione”…
Il “bollino di qualità” della Blockchain
L’ultima in ordine di apparizione tra le suggestioni tecnologiche “salvifiche” è senza dubbio quella di “certificare” le notizie utilizzando soluzioni basate sulla blockchain, a tal punto alla moda da esser stata adottata persino da rinomate agenzie di stampa come l’Ansa, che ha di recente introdotto il sistema “ANSAcheck la Notizia di Origine Certificata”, nell’intento dichiarato di “certificare l’origine ANSA delle notizie grazie alla tecnologia Blockchain, che agisce come garante di trasparenza, sicurezza e apertura dell’informazione.”
La realtà dei fatti è che neanche la blockchain può garantire la “verità” delle notizie diffuse da una determinata fonte, ancorchè autorevole e “certificata”, come del resto già avviene per la “Blockchain dei polli”.
Svelare la “cattiva coscienza” dei media contemporanei
La ragione per cui fake news e disinformazione si diffondono più facilmente tra gli odierni mezzi di comunicazione, è da un lato legata al fine specifico che sono chiamati ad assolvere (soprattutto nel caso dei media “tradizionali”), e dall’altro dal business model adottato (specie nel caso dei social media).
A seguito della diffusione dei social media, è parso ai più che la disinformazione fosse un problema specifico e quasi di esclusivo appannaggio di tali mezzi di comunicazione.
In realtà, i social media, complice anche le maggiori potenzialità delle tecnologie digitali coinvolte, non hanno fatto altro che amplificare un fenomeno che era già in nuce.
In tempi non sospetti, quando i social media non erano ancora divenuti mainstream, un acuto osservatore come Noam Chomsky ha avuto modo di svelare la “cattiva coscienza” (nell’accezione genealogica introdotta da Nietzsche) che connota i mezzi di comunicazione contemporanei.
I media come fabbrica del consenso
Nelle parole del Chomsky de “La fabbrica del consenso”, risalenti ormai al “lontano” 2008:
“I mass media come sistema assolvono la funzione di comunicare messaggi e simboli alla popolazione. Il loro compito è di divertire, intrattenere e informare, ma nel contempo di inculcare negli individui valori, credenze e codici di comportamento atti a integrarli nelle strutture istituzionali della società di cui fanno parte. In un mondo caratterizzato dalla concentrazione della ricchezza e da forti conflitti di classe, per conseguire questo obiettivo occorre una propaganda sistematica.”
“Nei paesi in cui le leve del potere sono nelle mani di una burocrazia statale, il controllo monopolistico dei mass media, spesso integrato da una censura ufficiale, attesta in modo trasparente che essi servono i fini di un’élite dominante.”
“Dove invece non esiste una censura formale e i media sono privati, è molto più difficile vedere in essi un sistema di propaganda in azione.”
“Il modello della propaganda ci consente di far emergere queste disuguaglianze di ricchezza e di potere, e di rilevarne l’incidenza a più livelli sugli interessi e sulle scelte dei mass media.”
“Vengono alla luce, così, i percorsi attraverso i quali denaro e potere possono filtrare le notizie da diffondere, marginalizzare il dissenso e consentire al governo e agli interessi privati dominanti di far pervenire al pubblico i propri messaggi.”
“Gli ingredienti essenziali del modello della propaganda e del sistema dei “filtri” [è tale per cui] Le notizie allo stato grezzo devono passare attraverso filtri successivi in modo che alla stampa ne arrivi solo il residuo depurato.”
“Tali filtri fissano le premesse del discorso e dell’interpretazione, nonché la definizione di che cosa sia meritevole di pubblicazione; in secondo luogo spiegano le ragioni di fondo e le operazioni di quelle che diventano vere e proprie campagne di propaganda.”
Le osservazioni di Chomsky non sembrano lasciare adito a dubbi e fraintendimenti in merito al ruolo giocato dai media all’interno della società moderna…
Non obiettività, ma pluralismo e trasparenza
Pertanto, scopo dell’informazione in un regime democratico non è tanto quello di perseguire una vana “oggettività”, quanto piuttosto quello di garantire pluralismo e trasparenza (specie se finanziata con i soldi del contribuente), consentendo al cittadino di formarsi autonomamente la propria opinione beneficiando del contraddittorio tra le parti.
Parafrasando le parole di Antonio Barracano, noto personaggio de “Il Sindaco del rione Sanità” di Eduardo de Filippo:
L’unica campana che suona da sola è quella per i morti, e io invece sono vivo (…)”
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